mercoledì 24 gennaio 2018

sudditi: la verità che nessuno vuole. E buone elezioni a tutti

Gli slogan elettorali nell’Italia del 2018? Piccoli corvi, che banchettano sui resti di un cadavere. «Voi ora vivete in uno Stato che non esiste più, avete delle leggi che non contano più niente: la vostra sovranità economica non esiste più». La voce sembra quella del vecchio marinaio di Coleridge, che insiste nel raccontare una storia atroce, che nessuno vuole ascoltare: la storia di un naufragio che si trasforma in catastrofe, dove ciascuno tenta disperatamente di sopravvivere a spese degli altri. E’ inaccettabile, il racconto del superstite. Troppo duro da digerire: «Nell’arco di pochi decenni, sono riusciti ad ammazzare la cittadinanza occidentale: eravamo persone capaci di cambiare la propria storia. L’Italia, con un solo partito e una sola televisione, ha fatto divorzio e aborto: eravamo figli del Vaticano ma siamo riusciti a ribaltare il paese». Dov’è finita quell’Italia? Davanti al televisore, ad ascoltare le amenità di Renzi e Grasso, Berlusconi e Di Maio. Di loro si occupano i giornalisti, gli stessi che ignorano l’altro giornalista, quello vero. Il vecchio marinaio. Il folle, l’eretico. L’ostinato reduce che insiste nel raccontare la verità che nessuno vuole sentire. Verità semplice e drammatica: c’è solo una politica in campo, quella del vero potere. E’ il potere antico, quello dei Re. E si è ripreso tutto. Distruggendo cittadini, leggi e Stati.
Paolo Barnard lo chiama «il più grande crimine commesso in Occidente dopo la Seconda Guerra Mondiale». Una storia cominciata almeno 80 anni fa: «Qualcuno si pose il problema di far tornare in auge le élite assolutiste che avevano sempre dominato Paolo Barnardl’umanità, nei millenni». E’ una storia complessa eppure semplice, utile da riascoltare: per secoli, il potere feudale ha agito incontrastato, sbattendo in galera e mandando sulla forca chiunque gli desse fastidio. Per farlo crollare c’è voluta la Rivoluzione Francese, nel ‘700. Dalla Presa della Bastiglia è cominciato un percorso “miracoloso” che si è sviluppato fino al ‘900, periodo in cui «si è realizzata la grande idea degli Illuministi, per ricacciare indietro il potere assolutista». Barnard lo chiama: il Tridente. Un forcone a tre punte: «Gli Stati, le leggi fatte dagli Stati, e il popolo che legittima gli Stati e le leggi». In altre parole, la democrazia partecipativa: roba mai vista prima, nella storia dell’umanità. «Questo Tridente era riuscito, dall’Illuminismo in poi, a ricacciare queste élite sempre più indietro, fino alla modernità». L’antica oligarchia aveva perso ogni privilegio e si è dovuta nascondere. Ma ha resistito. E negli anni ‘20-30 del ‘900 ha cominciato a pensare che fosse ora di spegnerlo per sempre, l’Illuminismo dei diritti democratici. Fine della ricreazione, si torna all’antico. L’Unione Europea? Una loro invenzione. L’euro? Il loro capolavoro.
Riascoltare Barnard, impegnato in conferenze in giro per l’Italia su questo tema già nel 2010, è letteralmente sconfortante, in una vigilia elettorale dominata dalle risse sul canone Rai di Renzi e sull’elemosina per i sudditi che Di Maio chiama “reddito di cittadinanza”. La storia del grande naufragio, quella del vecchio marinaio, è in realtà la cronologia di un golpe orwelliano contro la democrazia, che il mainstream giornalistico e politico si rifiuta di ascoltare. Adottando il metro della criminologia, Barnard fa i nomi: quelli degli americani Walter Lippmann e Edward Bernays, e quelli dei francesi Jean Monnet, Robert Schuman e François Perroux. Eminenti intellettuali, che negli anni ‘20 «si mettono a lavorare al servizio delle élite economiche, per riportarle al potere». In Europa, tra le due guerre mondiali, cementano un’alleanza economica del blocco industriale franco-Lippmanntedesco, quello che tuttora domina il vecchio continente:.«Sono i veri padroni: i gruppi industriali e finanziari francesi e tedeschi decidono tutto. La Costituzione Europea, il Trattato di Lisbona, è stata scritta apposta per mantenere un equilibrio di parità assoluta tra questi due blocchi; tutti gli altri non contano niente».
Primo obiettivo dei due americani, Lippmann e Bernays: eliminare dalla scena una delle tre punte del Tridente, i cittadini. Lippmann scrive che i cittadini-elettori sono, letteralmente, «degli outsider rompicoglioni». Per Monnet e Schuman siamo «una massa ignorante», che deve mettersi da parte per lasciare il posto alla guida illuminata delle élite. Lippmann e Bernays inventano l’industria della creazione del consenso politico, da cui deriva anche la cosiddetta “esistenza commerciale”, che abbiamo conosciuto come consumismo, insieme alla cultura della visibilità massmediatica. «Si inventano questi strumenti per rincretinire i cittadini, coinvolgendoli all’interno di usi e costumi che li imprigioneranno, facendo leva sull’immagine dei vincenti, nell’illusione di poterli emulare». Consumismo, debito, credito al consumo. «E così eliminano la partecipazione della cittadinanza». E’ l’inizio dell’immane naufragio, nel mare ostile su cui anche l’Italia oggi galleggia come una zattera impoverita e precaria. «In Europa il piano è ancora più perfido e sofisticato, perché devono affrontare le altre due punte del Tridente: eliminati i cittadini, la massa ignorante, gli “outsider rompicoglioni”, restano da eliminare gli Stati e le leggi».
Cosa si inventano quei francesi negli anni ‘30? «Quello che abbiamo davanti agli occhi adesso: l’Unione Europea e l’unione monetaria. Capiscono che, per eliminare gli Stati, bisogna creare delle strutture sovranazionali che abbiano un potere superiore a quello degli Stati. Una Commissione Europea che fa le leggi in Europa, leggi più potenti delle leggi italiane, e un Parlamento Europeo che non conta niente perché non può fare le leggi. Poi si inventano il Wto, con regole sul commercio a cui devono adeguarsi le regole nazionali». Ma soprattutto, continua Barnard, arrivano a inventarsi l’euro, cioè «l’arma finale che ha tagliato la testa agli Stati e alle loro leggi, rovinando democrazia e cittadini». La moneta unica sembra il parto del lavoro europeo degli anni ‘90, opera dei vari Giscard d’Estaing, Prodi e Amato? Errore: nasce molto prima. L’invenzione dell’euro risale addirittura all’epoca del nazismo. Per la precisione al 1943, quando l’economista francese Perroux si inventa l’idea dell’euro «per togliere agli Stati il potere monetario, che è la condizione essenziale per distruggerli: senza la capacità di François Perrouxemettere la moneta – spiega Perroux – lo Stato perde la sua ragion d’essere». Era tutto chiaro, già allora: «Lo sapevano dal 1943 e l’hanno fatto», dice Barnard.
Il piano, che nasce negli anni 20-30, ha una lunga preparazione: il Tridente continua ad avanzare dopo la  Seconda Guerra Mondiale, cresce negli anni ‘50 e ‘60 quando abbiamo le grandi legislazioni sul lavoro, il grande potere dei sindacati, il boom del Pci in Italia, al punto che poi, negli anni ‘70, «tutto il mondo è un po’ di sinistra, cioè abbraccia questi ideali, che sono l’esatto contrario di quello che viene pianificato di nascosto». Proprio gli anni ‘70 rappresentano «l’ultimo abbrivo della speranza nata dagli illuministi». Poi c’è il crollo verticale, perché gli uomini incaricati dall’élite già feudale lavorano moltissimo: «Il vero potere capisce il potenziale di questo piano e comincia a finanziare, a colpi di milioni, i pensatori  che prendono le redini. Così, negli Usa nascono fondazioni per finanziare questa macchina da guerra per la distruzione degli Stati, delle leggi e dei cittadini». La fondazione Rockefeller, la Holy Land, la Volcker, la Atlas. «Girano miliardi agli economisti che cominciano a strutturare il pensiero che poi verrà venduto alle università, e da queste alle istituzioni che fanno i master per la classe dirigente, e da lì ai ministeri di tutti gli Stati che contano». Si cominciano a oliare ingranaggi potentissimi: in Europa l’austriaco Frederich Von Hayek fonda la Mount  Pélérin Society, che diventa il centro di questa riscossa del vero potere, mentre in parallelo in Gran Bretagna sorgono l’Institute for Economic Affairs e il famigerato Adam Smith Institute.
Nemmeno in Italia l’élite resta alla finestra: nel 1957 nasce il Cuoa, Centro Universitario di Organizzazione Aziendale. «Nessuno lo conosce, eppure da lì sono usciti Marchionne, Doris, Profumo, la Marcegalia, Montezemolo». Insieme al Cuoa nascono la fondazione Prometeia di Andreatta, il Cmss, l’Istituto Bruno Leoni, Nomisma di Prodi. «Gruppi di studio e fondazioni: organismi «lubrificati da miliardi, sempre per creare questa classe dirigente per portare avanti l’ideologia che deve distruggere gli Stati e le leggi, dopo aver avviato la distruzione dei cittadini-elettori». Una marcia inarrestabile, accelerata in modo formidabile negli anni ‘60-70, negli Usa, da due economisti decisivi, Karl Brunner e Milton Friedman. «Due uomini dell’estrema destra economica che cominciano a masticare una questione che diventerà famigerata: il fantasma del debito pubblico e quello dell’inflazione». Gli uomini dell’élite infiltrano le università, «raccontando di questo pericolo che minaccia Milton Friedmangli Stati: sono loro che fanno il grandissimo lavoro per creare il fantasma che paralizzerà gli Stati». La scuola di Friedman, quella dei Chicago Boys, «sosterrà tutti i regimi di destra, economici e militari, a cominciare da quello di Pinochet in Cile».
Altro colpo d’ala: l’intuizione, in America, della fondazione Heritage. Il suo leader, Edwin Feulner, ha un’idea fondamentale per la gestione della politica: le parole d’ordine devono essere semplici, velocissime, ridotte a slogan. Letteralmente, «idee svelte per politici che vanno di fretta». Comincia così l’industria delle lobby, osserva Barnard. «I lobbysti scrivono dei “paper” dove, in tre parole, danno istruzioni ai politici su qualsiasi tema – immigrazione, lavoro, flessibilità. Li nutrono con queste idee. Ed è il grande salto: diventano molto veloci, le lobby che assediano i nostri politici ogni giorno». Politici che, come sappiamo, ormai «ripetono a memoria questi messaggini, che sono efficaci e fanno presa sul pubblico». Un capolavoro della Heritage Foundation: ridurre la politica a spettacolo, a colpi di slogan. Questo imprime una grande accelerazione alla restaurazione del potere, che sta tornando in mani antiche. «E’ come un virus: negli anni ‘60 e ‘70 è in stato di latenza, di incubazione avanzata». Per far esplodere il morbo negli anni ‘80 servono ancora alcuni passi decisivi: affidati all’avvocato d’affari Lewis Powell, su incarico della Camera di Commercio Usa, e agli autori del rapporto “La crisi della democrazia”, sollecitato dalla Commissione Trilaterale.
A Powell, poi giudice della Corte Suprema, nel 1971 viene chiesto un memorandum che detti i passaggi finali della riscossa storica dell’antico potere pre-moderno. Powell è micidiale: gli bastano 11 paginette per dire che serve una pianificazione a lungo termine. Sembrano istruzioni militari: «Dovremo essere disciplinati per un periodo illimitato, finanziati con uno sforzo unificato, competenti e presenti nei media, nei convegni, nell’editoria, nella pubblicità, nelle aule dei tribunali, nelle commissionli legislative». Le nostre presenze, scrive, «dovranno essere superbamente precise e di eccezionale livello». Detto fatto: le indicazioni di Powell sforneranno “soldati” di ferro: «Giudici, politici, economisti, consiglieri, docenti universitari, burocrati ministeriali». Non solo: «Dobbiamo colonizzare tutti gli editori che pubblicano testi di economia», raccomanda Samuel Huntingtonl’avvocato di Wall Street, «perché nelle università dovranno finire i nostri testi». Infatti, annota Barnard, «non c’è più una facoltà di economia, nel mondo occidentale, che non insegni il solito dogma neoliberale».
Quattro anni dopo Powell, nel 1975, entrano in azione tre economisti: lo statunitense Samuel Huntington, il giapponese Joji Watanuki e il francese Michel Crozier. «Il loro rapporto per la Trilaterale, “The crisis of democracy” raggela il sangue», dice Barnard. La storia del successo della democrazia, scrivono i tre, sta nell’assimilazione di grosse fette della popolazione all’interno di valori, atteggiamenti e modelli di consumo della classe media. “Esistenza commerciale” e cultura della visibilità. E aggiungono: «Il funzionamento di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi». Apatia, capito? «Cioè: dovete diventare degli stupidi apatici, che non partecipano», sintetizza Barnard. «C’era una forza lavoro che ribolliva, sindacati che facevano ancora il loro lavoro». Per questo, Huntington e compari raccomandano di «distruggere i sindacati, attaccare il radicalismo della lotta». Capiscono che il pericolo, per il potere, non è il riformismo, ma il radicalismo delle idee. Spiegano, infatti: «Quando il radicalismo perde forza, diminuisce il potere dei sindacati di ottenere risultati». Aggiungono: «Dobbiamo inventarci la concertazione: essa produce disaffezione da parte dei lavoratori, che non si riconoscono in quel processo burocratico e tendono a distanziarsene». E questo, concludono, «significa che più i sindacati accettano la concertazione e più diventano deboli, meno capaci di mobilitare i lavoratori e di fare pressione sui governi».
Non a caso ora siamo al precariato come normalità: «Hanno reso plausibile l’inimmaginabile». Gli mancava un ultimo tassello: i politici, per varare finalmente le leggi che il potere oligarchico incubava dagli anni ‘30. «Fra il ‘79 e l’81 – riassume Barnard – il piano arriva a maturazione politica nelle nazioni che contano: Reagan negli Usa, la Thatcher nel Regno Unito, Mitterrand in Francia e Kohl in Germania. Hanno fatto poker: il mondo è in mano a questa gente. Si celebra la vittoria del ritorno al potere dell’élite assolutista. Questi i loro alfieri politici, completamente comandati. Sono riusciti a comprare il destino di milioni di persone come noi». Tre politici conservatori, e uno teoricamente progressista: il capo dell’Eliseo. «Mitterrand è un caso particolarmente sinistro», sostiene Barnard: «Doveva riabilitarsi, dopo un passato da fascista nel Mitterrandregime di Vichy. Non a caso, proprio dal socialismo francese prenderanno spunto il socialismo rampante italiano e il socialismo di destra del New Labour di Tony Blair».
Alain Parguez, all’epoca prestigioso consulente economico di Mitterrand, poi “pentitosi”, scrive: «Neppure Marx avrebbe mai osato immaginare quanto i soldi potessero ottenere: comprarsi il sostegno elettorale dei cittadini e la schiavitù di intere nazioni». Ma come hanno fatto, in trent’anni, a impedire agli Stati di rendersi conto del fatto che sarebbero stati distrutti? Come hanno fatto a evitare che un economista, un giornalista, un intellettuale si domandasse cosa stesse succedendo? A partire da Brunner e Friedman, risponde Barnard, si sono inventati il fantasma dell’inflazione e quello del debito pubblico. «E con questo doppio fantasma, attraverso quel poderoso network di pensatori che ha colonizzato ogni centro decisionale, hanno terrorizzato e paralizzato gli Stati, impedendo loro di accorgersi che, quando avevano la sovranità della moneta (ecco perché Perroux si inventò l’euro nel ‘43), potevano tranquillamente creare piena occupazione, stato sociale e ricchezza nazionale, spendendo a deficit senza limiti di spesa». Chiarisce Barnard: «Il debito pubblico non conta niente, lo Stato non lo deve mai ripagare: non è il debito dei cittadini, è la loro ricchezza».
L’inflazione? «Non è un problema. L’Italia è entrata nel G8 con un’inflazione che era 7-8 volte quella di oggi». E a proposito di debito pubblico: «Quello del Giappone è il 200% del Pil: qualcuno ha mai sentito parlare del Giappone in crisi?». Eppure, per mezzo secolo, i lavoratori sono stati oppressi da salari bassi e servizi sociali inadeguati. «Non era necessario, non era una necessità economica: era tutto inventato grazie ai fantasmi cucinati da questi economisti per frenare gli Stati». E perché? «Perché se gli Stati si accorgono di poter spendere, “fregano” il potere privato». Avverte l’insigne monetarista americano Randall Wray: «Se fosse compreso che il governo non ha limiti di bilancio, potrebbe spendere come gli pare, acquisendo una fetta troppo grande delle risorse nazionali». Inteso: troppo grande per gli appetiti del business privato, di cui si è appropriata l’élite. Taglia corto Joseph Halevi, economista italo-australiano: «Quello che è in gioco è la totale privatizzazione della finanza Joseph Halevipubblica, e dunque la distruzione degli Stati. Bisognava privatizzare la finanza pubblica e distruggere gli Stati». Ancora: «La piena occupazione dà potere agli Stati, la disoccupazione e la flessibilità gli spezzano la schiena».
Il motivo per cui hanno deregolamentato tutta la finanza, eccetto quella pubblica, «è che si è data mano libera ai privati ma imprigionando i governi, perché sennò diventavano troppo potenti», insiste Barnard. «I governi non dovevano accorgersi che potevano creare ricchezza, occupazione e welfare per tutti. Noi dovevamo soffrire, a milioni. E al top di questa piramide criminale, poche migliaia di persone, si accumulava un potere economico inimmaginabile; oggi i derivati della speculazione finanziaria posseduti da pochi individui è pari a 620.000 miliardi di dollari, il Pil Usa è 14.000». C’è qualcuno che può avere ancora dei dubbi su com’è andata la storia? Qualcuno osa ancora mettere in discussione il racconto terribile del vecchio marinaio? Sì, eccome: tutto il mainstream politico e mediatico. Barnard, semplicemente, non esiste. Si parla magari di Padoan, ma non del carcere a cielo aperto chiamato Unione Europea, il cui obiettivo è la demolizione sistematica delle economie nazionali. Silenzio anche sull’Eurozona, il lager che impedisce allo Stato di lanciare la crescita delle aziende. Non si sente, in televisione, la voce di Barnard. Si sente quella dei grillini, dei renziani, dei dalemiani, dei berlusconiani. Il naufragio è rimosso, la verità non è ammessa. Chi ne parla è spacciato. Meglio le ciance sulla buonanima della Costituzione, di fatto archiviata dall’Ue. «Voi ora vivete in uno Stato che non esiste più, avete delle leggi che non contano più niente: la vostra sovranità non esiste più». E buone elezioni a tutti.

fonte: http://www.libreidee.org/

Nestlé, Danone e Coca Cola si stanno rubando tutta l'acqua

L’acque è una risorsa importante e la Nestlé lo sa bene, continuando nelle sue acquisizioni, in questo caso nella riserva degli indiani Morongo in California.
Gli abitanti di Riverside, vivendo in una terra arida con penuria di acqua al confine di questa regione, si lamentano del fatto che la multinazionale svizzera riesca ad estrarla dal sottosuolo e imbottigliarla con il marchio Pure Life rivendendola in tutto il Nordamerica.
Tutto regolare dal punto di vista giuridico, visto che l’accordo della Nestlé con gli indiani, stipulato nel 2002 con termine 2027, non può essere modificato perché lo Stato della California non ha nessuna giurisdizione in questo territorio, aggiungendo il fatto che sono ignoti i termini del contratto e la quantità di acqua che viene estratta, ma risulta certo il profitto da parte del colosso elvetico stimato in circa 8 miliardi di euro l’anno.
Questa storia è stata raccontata dal regista svizzero Urs Schnell nel documentario “Bottled Life” premiato lo scorso anno al Festival di Berlino, denunciando il fatto che coloro che vivono ai margini della riserva indiana si lamentano della cattiva qualità dell’acqua, e del fatto che durante la giornata, viene interrotta più volte l’erogazione.
Questa è una vera e propria guerra per accaparrarsi le risorse, in questo caso dell’acqua, ambito nel quale la Nestlé ha ormai assunto una posizione di monopolio, assieme a Danone e Coca Cola, e quando questo “risiko” sarà completato potranno chiudere i rubinetti e ricattare il mondo come già stanno facendo …


L’acqua viene presa in ostaggio, con le buone o con le cattive, divenendo profitto per pochi, mentre noi ignari consumatori ci sentiamo ormai “sicuri” solo se l’acquistiamo in bottiglia, frutto di politiche mirate e di un battage pubblicitario finalizzato a considerare l’acqua sicura solamente se imbottigliata.
Lo sappiamo bene in Italia, visto che in Europa siamo i maggiori consumatori di acqua in bottiglia, mentre nel mondo siamo al secondo posto, come riferito dal Censis, il Centro Studi Investimenti Sociali.
L’acqua fondamentale risorsa del pianeta sta rapidamente sparendo, la sua scarsità a livello globale si profila come la maggiore minaccia di crisi ecologica, economica e politica.
L’acqua è un bene imprescindibile per la vita umana, per questo fa gola alle multinazionali e il suo business ha un valore immenso, generando una estrazione selvaggia dalle falde.
Il film documentario “Bottled Life” non parla solo dell’acqua dei Morongo, ma anche di altri luoghi, per esempio di ciò che sta accadendo in Pakistan dove i pozzi scavati dalla multinazionale svizzera Nestlé stanno privando la popolazione dell’acqua potabile, che poi rivende a caro prezzo dopo averla, mentre la prima acqua “purificata”, cioè acqua di rubinetto trattata con l’aggiunta di minerali, viene commercializzata nel Paese asiatico.
Secondo me è un atto criminale e siamo in presenza di un commercio ignobile e sregolato, visto che ogni anno in Pakistan muoiono più di 200.000 bambini a causa della dissenteria e l’accesso alle proprie falde sotterranee è la sola possibilità per le persone per avere acqua sicura.
Insomma, l’acqua è vita, non un bene da cui trarre un indiscriminato profitto, in nome del quale, la Nestlé sta contribuendo al depauperamento delle risorse idriche, inaridendo le locali fonti d’acqua e i pozzi fino a oggi utilizzati per uso domestico e agricolo.
Difficile pensare che l’estrazione dell’acqua condotta dalla Nestlé sia sostenibile da parte dell’ambiente, visto che quasi sicuramente ciò avviene molto più velocemente di quanto possa essere naturalmente rinnovata, mettendo a rischio il diritto all’acqua da parte delle future generazioni.

Fonte tratta dal sito .

fonte: http://wwwblogdicristian.blogspot.it/

venerdì 19 gennaio 2018

il carretto fantasma



Körkarlen; letteralmente "Il Carrettiere", è un film del 1921 diretto da Victor Sjöström, tratto dall'omonimo romanzo della scrittrice svedese Selma Lagerlöf pubblicato nel 1912. È una saga nella quale il regista-attore si cimenta in alcune sperimentazioni, come contrasti di luce, angolazioni anomale, sovraimpressioni.

Trama

Il racconto si sviluppa su una leggenda scandinava secondo la quale le anime dei defunti sono raccolte per conto della Morte da un lugubre carrettiere fantasma che cede la sua incombenza all'anima di colui che perisce in peccato mortale allo scoccare della mezzanotte dell'ultimo giorno dell'anno.

Il protagonista della storia è David Holm, un uomo ormai tubercolotico ridottosi al vagabondaggio e all'alcolismo a causa di balorde amicizie; nella notte di San Silvestro David viene invocato al suo capezzale dalla giovane Edit, fondatrice nel capodanno precedente del locale ricovero dell'Esercito della Salvezza, ma egli rifiuterà l'estremo appello di colei che unica gli aveva ripetutamente offerto soccorso e che gli aveva chiesto di render conto in quell'ora della propria condotta esattamente un anno prima. Il gesto disumano scatena le ire dei compagni di bevuta con i quali David si intrattiene nel cimitero cittadino e qui scoppia una rissa nella quale il protagonista viene colpito a morte.

Come previsto, sui rintocchi dell'orologio pubblico sopraggiunge il carretto fantasma guidato da Georges, amico del defunto e protagonista dell'ultimo suo aneddoto, il quale, ammettendo la propria responsabilità nell'aver dato origine alle disgrazie dell'ultima anima obbligata a raccogliere, le rammenta il suo lungo discendere nell'abiezione, il male inflitto a sua moglie e alle due figliolette un tempo adorate, l'abbandono a sé del giovane fratello (finito in carcere per aver commesso un omicidio) e soprattutto le sofferenze patite per sua colpa da Edit, della quale ignorava il sincero amore e della cui mortale consunzione si scopre responsabile, essendosi lei esposta ai germi presenti sul suo cappotto che aveva amorevolmente rammendato la notte di un anno prima.

Condotta da Georges dalla moribonda Edit, l'anima di David si strugge dai rimorsi e il suo pentimento è così profondo da ottenere la ricompensa eccezionale di poter ritornare in vita e di impedire che sua moglie, nella disperazione più cupa, ponga termine alla propria vita e a quella delle loro bambine. Nel freddo tugurio l'uomo si riconcilia con la sua donna, le cui lacrime potranno terminare di scorrere solo quando si sarà estinta completamente ogni sua sofferenza, e proferisce una preghiera pregna del suo rinsavimento: «Signore, lascia che la mia anima maturi prima che venga raccolta».

Distribuzione

Nei paesi anglosassoni è conosciuto anche con altri nomi: The Phantom Carriage, The Phantom Chariot, The Stroke of Midnight e Thy Soul Shall Bear Witnes.

La pellicola è entrata nel pubblico dominio negli Stati Uniti.

fonte: Wikipedia

FILMATO

giovedì 18 gennaio 2018

microchip sottopelle per pagare il treno, se viaggi in Svezia

Niente più biglietti o sms, per viaggiare sui treni svedesi basta un microchip sottopelle. La compagnia ferroviaria di Stato svedese “Sj” ha cominciato ad accettare biglietti caricati su microchip impiantati nella mano dei viaggiatori, annuncia il “Corriere della Sera”. Basta solo essere iscritti al programma di fedeltà e avere già il microchip impiantato nel proprio corpo. «In Svezia sono circa già 3.000 le persone dotate del microchip (che usa la tecnologia Nfc Near Field Communication, quella delle carte di credito) e passate quindi allo stadio di cyborg, cioè organismi cibernetici composti da corpo naturale e uno o più elementi artificiali». Niente di così diverso, in teoria, dai pazienti cardiaci che da decenni vivono con un pacemaker o un defibrillatore impiantato nel torace e collegato al cuore, scrive Stefano Montefiori sul “Corriere”. «Quelle però sono tecnologie avanzate e costose destinate a salvare la vita del malato, mentre nel caso svedese si tratta di un piccolo congegno grande quanto un chicco di riso, del costo di circa 150 euro, che serve per rendere più facili alcune operazioni della vita quotidiana». I passeggeri svedesi lo utilizzano per viaggiare: possono comprare il biglietto sul web o sull’applicazione “Sj” e, una volta connessi con il loro numero di “programma fedeltà”, il titolo di trasporto viene caricato sul microchip.
Sui treni svedesi, il controllore avvicina il lettore alla mano del passeggero e appaiono tutti i dati del biglietto. «Qualcuno ha sollevato dubbi sulla privacy – dice un portavoce della compagnia – ed è una questione che prendiamo molto sul serio. Ma se Microchip sottocutaneodavvero la paura è di essere tracciati, allora sono più preoccupanti smartphone e carte di credito». Dopo gli orologi connessi che monitorano il sonno e il battito cardiaco o il riconoscimento facciale usato per fare acquisti o il check-in agli aereoporti (lo usa la Finnair), i microchip simili a quelli usati da anni sugli animali «vengono impiantati nell’uomo per aprire e chiudere le porte degli uffici senza bisogno di digitare un codice, accendere e spegnere le luci, pagare il caffé alla macchinetta e adesso, appunto, mostrare il biglietto al controllore delle ferrovie di Stato svedesi», aggiunge Montefiori. I circa 3.000 microchip già in uso in Svezia, spiega il giornalista, hanno cominciato a essere impiantati tra il pollice e l’indice della mano all’inizio del 2015 dalla start-up Epicenter, a Stoccolma, che propone ai dipendenti di usarli per entrare nell’azienda, fare funzionare le stampanti o comprare una bottiglietta d’acqua ai distributori automatici. «Impiantare qualcosa di elettronico nel corpo è stato un passo importante anche per me – dice Patrick Mesterton, capo di Epicenter – ma poi diventa naturale e molto comodo».
Altre aziende, in Belgio e negli Usa, hanno seguito l’esempio svedese. In Australia, scrive ancora il “Corriere”, centinaia di persone hanno già fatto ricorso al servizio “Chip My Life”, fondato da Shanti Korporaal. «Ma è la prima volta che il microchip viene usato in un’azienda rivolta al grande pubblico come le ferrovie svedesi». La tendenza di incorporare la tecnologia nell’uomo fa immaginare a Elon Musk (Tesla, Space X, Neuralink) un futuro prossimo in cui i nostri cervelli saranno collegati a Internet: «Le persone non capiscono che già adesso sono dei cyborg. Se ti dimentichi il cellulare ti senti come se ti mancasse un braccio. Ci stiamo già fondendo con i telefonini e la tecnologia». Tra i non entusiasti si segnala Massimo Mazzucco, Microchip sottopelle per viaggiare sui treni svedesiinorridito dall’ennesima inquietante innovazione tecnologica di massa introdotta dal paese scandinavo: «Più passa il tempo, più mi convinco che la Svezia sia stata scelta come laboratorio umano per far passare le successive “rivoluzioni” del nuovo ordine mondiale», scrive Mazzucco su “Luogo Comune”.
«Prima c’è stata la rivoluzione cash-free, nella quale un popolo di beoti ha accettato con entusiasmo l’idea di abolire progressivamente il contante, fino ad arrivare ad una moneta esclusivamente elettronica, mettendosi interamente nelle mani di un qualunque banchiere, che può decidere da un giorno all’altro di azzerare tutto quello che hanno». In seguito, continua Mazzucco, «gli svedesi si sono vantati di essere i primi ad aver sperimentato il microchip sottopelle per pagare il biglietto del treno». Fa impressione guardare con quale orgoglio i “testimonial” dei video promozionali raccontano di aver fatto parte di questo esperimento. «Naturalmente, una volta impiantato, quel microchip tornerà utile per metterci mille altre cose: il problema principale era quello di farlo accettare, e a quanto pare i “controllori del treno” ci sono riusciti in pieno».
Infine, gli svedesi «stanno studiando una “rivoluzione” nel campo sessuale», eliminando la spontaneità nei rapporti. E’ infatti in preparazione una legge secondo la quale «gli adulti svedesi potrebbero essere condannati per violenza sessuale a meno di ricevere un segnale verbale o non verbale di consenso dal loro partner, durante ogni passaggio dell’incontro sessuale». In altre parole, scrive Mazzucco, uno svedese dovrebbe chiedere alla sua ragazza “ti posso baciare?” prima di baciarla, “ti posso toccare?” prima di toccarla, “ti posso penetrare?” prima di penetrarla. «Altrimenti rischia di finire in prigione. E a quanto pare sono tutti convinti che questo sia “il progresso”». Conclude Mazzucco: «Poveri svedesi, una volta erano considerati all’avanguardia per quel che riguarda la società civile e il diritto individuale, ora stanno passando all’avanguardia per quel che riguarda il processo di rincoglionimento globale».

fonte: http://www.libreidee.org/

lunedì 15 gennaio 2018

i tre strumenti ideologici attraverso i quali il potere spoglia l'uomo della sua anima




In un precedente post ( Sulla natura subdola e mostruosa del potere) avevo descritto il potere in termini molto concreti come una dinamica subdola che si insinua nella psiche delle persone, nelle strutture sociali, politiche ed economiche e come un meccanismo ben collaudato che rivela tutta la sua mostruosità disumana quando si infiltra negli apparati dello Stato e negli organismi sovranazionali sino a snaturarne le funzioni. Dunque il potere non come un concetto astratto ma come un sistema di pressione e di disumanizzazione che agisce indisturbato da secoli. Ora proverò a descrivere il modello antropologico di riferimento del potere, che è fondato su tre postulati essenziali.

Il primo di questi postulati è l’individualismo. L’uomo oggi non è più concepito come essere in relazione con gli altri ma come monade isolata senza legami stabili e duraturi, sradicato dalla comunità e ripiegato su se stesso, sui suoi bisogni e desideri, che il sistema si guarda bene dal soddisfare. Aristotele aveva affermato che l’essenza dell’essere umano è la relazione, il neoliberismo invece, che è una delle maschere mostruose che il potere indossa, ha ridotto l’uomo a una macchina che non risponde più agli stimoli esterni ma solo a quelli interni. Siamo in presenza di un autismo indotto, diffuso come pandemia a livello di massa. In questo quadro gioca un ruolo di primo piano la pervasività delle nuove tecnologie, che spingono l'uomo a ritirarsi dall'agorà per chiudersi nel suo solipsismo.



Il secondo postulato è il riduzionismo. Esso è stato introdotto dal positivismo e oggi come mai prima d’ora esercita il suo fascino dissacratore sulle menti di scienziati e intellettuali. Il riduzionismo ha eliminato dall’orizzonte antropologico la dimensione dell’anima e dello spirito. L’uomo è stato così ridotto a essere semplice, monodimensionale, fatto di sola materia. Materia da macello, sacrificabile in nome di interessi indicibili. E’ l’apoteosi del materialismo che ha ucciso gli slanci vitali dell’essere umano. 



L’ultimo postulato è quello dell’efficientismo. Esso ha contribuito a costruire un’immagine dell’essere umano come esecutore meccanico, efficiente appunto, di mansioni, compiti, ordini. La persona così non vale per quel che è ma per quel che fa e produce. Questo meccanismo è particolarmente evidente nel mondo del lavoro, dove domina il concetto di produttività: se non si è produttivi si vale zero. Ciò ha delle ricadute molto pesanti sull’equilibrio psichico della persona, la quale, a furia di sentirsi dire che non è abbastanza produttiva, è portata a svalutarsi e a sottostimarsi.

Davanti al dominio incontrastato di questo modello antropologico disumanizzante, quali le soluzioni? La prima soluzione da adottare, a parere di chi scrive, è disfarsi il prima possibile di tale modello infernale sostituendolo con un modello umano nel vero senso della parola, un modello che ponga al centro la persona, intesa come essere in relazione con il mondo. L’essere umano non è un grumo di cellule e nemmeno un elaboratore neutro di dati, ma un essere complesso che ha una memoria rivolta al passato, che vive nel presente e che ha delle attese verso il futuro. Le tre dimensioni temporali sono essenziali per alimentare l’anima. Se alla persona si toglie la memoria, che è anche riflessione critica sugli errori del passato, e l’aspettativa di un futuro migliore riducendo la sua esistenza al solo presente fatto di frustrazioni, incertezza e instabilità, si uccide la sua anima. E questo è lo scopo che il potere si prefigge da millenni e che in parte è riuscito ad attuare. Per questo motivo è urgente cambiare modello antropologico di riferimento. Purtroppo, finché a dominare la scena saranno i vari Piero Angela e Roberto Saviano, a dominare sarà sempre una antropologia deviata, servile, inconsistente, criminale. E gli intellettuali perfettamente integrati al sistema continueranno a promuoverla ottenendo in cambio favori, privilegi e visibilità mediatica. Perciò i veri intellettuali, per usare un’espressione tratta da un famoso saggio di Umberto Eco, hanno il compito di essere apocalittici, nel senso di esercitare il ruolo che gli spetta, che è quello di denunciare senza pietà le storture e le manipolazioni del potere. Apocalittici non significa, come una certa tradizione religiosa ha trasmesso nel corso dei secoli, essere dei misantropi asociali e degli esaltati ma assumere uno sguardo critico sul passato e sul presente per cambiare il futuro. Rimuovere il velo ottenebrante delle menzogne propagandate dal potere, questo è il vero compito dell’intellettuale e di tutti gli uomini di buona volontà. 


fonte: http://federicafrancesconi.blogspot.it/

domenica 7 gennaio 2018

il mistero della biblioteca metallica di padre Carlo Crespi

Yuri Leveratto

Il Padre italiano Carlo Crespi (1891-1982), era giunto nella selva amazzonica ecuadoriana nel 1927.

Con il tempo aveva ammassato, presso la sua missione salesiana di Cuenca, una fantasmagorica collezione di manufatti antichi d’inestimabile valore storico e archeologico: statuette d’oro di stile mediorientale, numerosi oggetti d’oro, argento o bronzo: scettri, elmi, dischi, placche, e molte lamine metalliche che riportavano delle incisioni arcaiche simili a geroglifici, la cosiddetta “biblioteca metallica”.

Tra le varie lamine, una di esse era lunga circa 20 pollici e riportava 56 segni stampati, come fosse un alfabeto più antico di quello dei Fenici (foto a sinistra del testo).
Padre Carlo Crespi era molto anziano quando fu girato il video di Stanley Hall, che riporto nel corpo articolo (N.B.:nota del webmaster di questo sito: il video l'ho inserito in fondo a questo articolo), e forse era anche confuso, ma nell’ultima parte del video (esattamente nel punto: 4 min. e 18 sec), si vede benissimo che la biblioteca metallica, da lui gelosamente custodita, era reale.

Osservando al rallentatore l’ultima parte del video, dove si vedono le placche metalliche, si nota che vi sono impressi dei segni o una sorta di geroglifici, come se si fosse voluto rappresentare la storia di un popolo.
Carlo Crespi ha sempre dichiarato a tutti i suoi intervistatori che tutti i reperti del suo museo, gli erano stati consegnati, nel corso degli anni, da indigeni Suhar, che a loro volta li avevano raccolti nella Cueva de los Tayos...


Ecco una sua dichiarazione, ripetuta più volte a vari ricercatori:

Tutto quello che gli Indios mi hanno portato dalla caverna risale a epoche antiche, prima di Cristo. La maggioranza dei simboli e di alcune rappresentazioni preistoriche risalgono ad epoche antecedenti il Diluvio.
(Padre Carlo Crespi)


Il religioso italiano sosteneva che i reperti da lui custoditi fossero d’origine antidiluviana e fossero stati nascosti nella caverna da discendenti di popoli mediorientali che erano scampati al diluvio.
Molte persone che mi hanno contattato durante questi anni, hanno argomentato che il “tesoro” di Padre Carlo Crespi fosse costituito da falsi o, da pezzi veri, che però non provenivano dalla Cueva de los Tayos.
E’ una possibilità, però a mio parere qualcosa di vero in questa storia della Cueva de los Tayos c’è, per vari motivi.

Innanzitutto il Padre Carlo Crespi, non ha mai tenuto conferenze sulla sua collezione e non si è mai fatto pubblicità allo scopo di guadagnarci soldi o fama, anzi era piuttosto schivo e controverso.
Che bisogno avrebbe avuto quindi di inventarsi tutto e raggruppare una montagna di manufatti falsi?
C’è poi la possibilità che sia stato ingannato da astuti artigiani: a tale proposito lo scrittore Richard Wingate, scrive:

E’ stato detto che i reperti di Padre Crespi siano dei falsi che gli furono consegnati da indigeni. Però in seguito i segni scolpiti in alcuni suoi reperti sono stati individuati come geroglifici egizi, ieratico egizio, punico e demotico.
Come avrebbero potuto, gli indigeni Suhar o improvvisati artigiani della zona di Cuenca, riportare delle iscrizioni in lingue antiche, nei reperti che consegnavano a Crespi?

E' vero che tutti o alcuni dei suoi manufatti potrebbero essere stati veri, ma non provenienti dalla Cueva de los Tayos, ma anche in questo caso perché lui avrebbe divulgato che gli furono consegnati dagli indigeni Suhar? Non avrebbe guadagnato nulla dicendo ciò.
Alcuni reperti di Crespi sono stati analizzati da riconosciuti archeologi: per esempio il professor Miloslav Stingi, membro dell’Accademia delle scienze di Praga, dopo aver analizzato alcuni reperti di Padre Crespi disse:

Il sole è spesso parte centrale di alcuni reperti incaici, ma l’uomo non è stato mai messo sullo stesso piano rispetto al sole, come vedo in alcuni di questi reperti. Vi sono rappresentazioni di uomini con dei raggi solari che si dipartono dalle loro teste, e vi sono uomini rappresentati con punti, come fossero stelle uscendo da loro stessi. Il simbolo sacro del potere è sempre stato la mente, ma in questi reperti la mente o il capo, è rappresentata simultaneamente come il sole o una stella.

Con questa dichiarazione Stingi, propende per sostenere che alcuni dei reperti di Crespi non hanno una derivazione indigena (che sia andina o amazzonica), ma hanno origine differente. Osservate con attenzione la placca d’oro che riporto qui sotto: è una piramide con alla sua sommità un sole.

Molto stranamente i gradini della piramide sono 13 e il sole posto nella sua sommità ricorda l’occhio onniveggente. Ai lati vi sono poi due felini, due elefanti e due serpenti. Alla base della piramide vi sono le lettere di un alfabeto arcaico, che secondo alcuni ricercatori sarebbe un proto-fenicio.

La piramide, il sole posto alla sua sommità e i 13 gradini sono indubbiamente simboli massonici. Sappiamo che la Massoneria ha origini che si rimontano alla notte dei tempi, e pertanto questa potrebbe essere una placca aurea di culture medio-orientali. Notiamo inoltre che gli elefanti non sono presenti in Sud America (se non prima del diluvio, i mastodonti, che si sono estinti con gli altri animali della megafauna nel 9500 a.C.), e questo rafforza la tesi che l’oggetto in questione abbia un’origine non americana.

Per quanto riguarda i felini, essi non sono puma o giaguari (tipici delle culture andine e amazzoniche), ma gatti, animali sacri dell’antico Egitto.
Il serpente poi è un simbolo universale adorato in tutte le culture del mondo antico, come immagine del rigenerarsi della vita, e metafora dell’utero della donna (sta, infatti, negli anfratti dei fiumi).
Un ultimo particolare: nel lato sinistro rispetto al sole vi sono 4 piccoli circoli, mentre nel lato destro vi sono 5 piccoli circoli. Si tratta dei 9 pianeti del sistema solare?

Anche in questo reperto si possono notare alcuni particolari importanti:
Innanzitutto ritroviamo la piramide, questa volta formata da 5 livelli.
Nei primi tre vi sono dei simboli di un alfabeto antico, non decifrato. Quindi un elefante, simbolo non tipico delle culture sud-americane, e sulla cima un sole con dieci raggi.

La biblioteca metallica è stata mai vista al di fuori del fantasmagorico museo di Padre Carlo Crespi?

In effetti ci sono state altre persone che affermarono di essere state all’interno della Cueva de los Tayos e aver visto con i loro occhi altre lamine della biblioteca metallica, primo tra tutti l’ungherese naturalizzato argentino Juan Moricz, che dichiarò di aver portato a termine una spedizione nel 1965 guidato da indigeni Suhar.
Nella seconda spedizione, guidata da Juan Moricz nel 1969, alla quale partecipò Gaston Fernandez Borrero, non furono però trovate alcune tracce della biblioteca metallica, ma solo stalattiti e stalagmiti.

Dopo la seconda spedizione Juan Moricz fece un tentativo di ufficializzare la sua scoperta, il 21 luglio 1969, dichiarando di fronte ad un notaio di aver individuato nella caverna, oggetti importanti dal punto di vista archeologico.
Varie persone mi hanno scritto sostenendo che Moricz fosse in mala fede, e che lui, dopo aver visto la collezione di Carlo Crespi e aver ascoltato la sua probabile provenienza, pensò di divulgare la storia che aveva trovato la biblioteca metallica all’interno della caverna, per ottenerne soldi e fama.
Anche questa è una possibilità, considerando che Moricz non mostrò mai nessuna fotografia dei suoi ritrovamenti.

Ci sono però altre dichiarazioni, come quella del maggiore Petronio Jaramillo, tratta dal libro “Oltre le Ande” di Pino Turolla.
Jaramillo, che dichiarò di essere entrato nella caverna nel 1956, descrisse alcuni manufatti antichi e le famose lamine metalliche, ma anche in questo caso non ci sono fotografie e pertanto si può concludere che la biblioteca metallica è stata vista e fotografata solo ed esclusivamente nel museo di Padre Carlo Crespi.


Quando Padre Carlo Crespi morì, nel gennaio del 1982, la sua meravigliosa collezione d’arte mediorientale (e antidiluviana), fu portata via dal museo di Cuenca, verso una destinazione ignota.
Alcune voci sostennero che il Banco Centrale dell’Ecuador abbia acquisito, il 9 luglio 1980, per la somma di 10.667.210 $, circa 5000 pezzi archeologici in oro e argento dalla missione salesiana.
Il responsabile del museo del Banco Centrale dell’Ecuador, però, Ernesto Davila Trujillo, smentì categoricamente che l’entità di Stato acquisì la collezione privata di Padre Crespi.
Secondo altre persone i reperti di Padre Crespi furono inviati in segreto a Roma, ed oggi si troverebbero in qualche cavò del Vaticano.

A questo punto sorge una considerazione: se i reperti di Padre Carlo Crespi, inclusa la biblioteca metallica, erano dei falsi, perché sono stati fatti sparire?
Se fossero stati dei falsi sarebbero stati venduti all’incanto in qualche mercatino di periferia, a poco prezzo.
Assumendo pertanto che la maggioranza di quei reperti erano veri, ma che non provenissero dalla Cueva de los Tayos, perché sarebbero stati custoditi proprio nella missione salesiana di Padre Carlo Crespi?
Che bisogno avrebbe avuto il legittimo proprietario (l’ordine dei Salesiani? Il Vaticano?), d’inviarli a Cuenca?
Forse per nasconderli? In questo caso però Carlo Crespi non li avrebbe mai mostrati a nessuno.
Come si vede il mistero della biblioteca metallica di Padre Carlo Crespi, è ancora attuale: nessuno può essere certo della sua reale provenienza, e tantomeno della sua attuale ubicazione.
Il fatto che sia stata occultata potrebbe essere una prova non solo della sua autenticità, ma anche del suo inestimabile valore e forse, del suo scomodo significato.

Bibliografia:
- I miei due viaggi alla Cueva de Los Tayos – Gaston Fernandez Borrero
- Oltre le Ande – Pino Turolla
- L’antica collezione di Padre Carlo Crespi – Glen W. Chapman

Fonte: www.duepassinelmistero.com


Questa piastra (a destra) che farebbe parte dalla collezione privata di padre Carlo Crespi rappresenterebbe un guerriero i cui ornamenti (capelli, disco solare, oggetti, serpente..) sono quasi identici a quelli rappresentati dagli antichi egizi per raffigurare alcuni dei loro dei.

Fonte: belaya-tara.blogspot.it

fonte: https://crepanelmuro.blogspot.it/

La più antica notizia della caverna risale al 1860 quando il generale Victor Proano inviò una breve descrizione della grotta al Presidente dell’Ecuador di allora, Garcia Moreno.
Solo nel 1969 però, un ricercatore ungherese naturalizzato argentino, di nome Juan Moricz, esplorò a fondo la caverna, trovando molte lamine d’oro che riportavano delle incisioni arcaiche simili a geroglifici, statue antiche di stile mediorientale, e altri numerosi oggetti d’oro, argento e bronzo: scettri, elmi, dischi, placche.
Il ricercatore ungherese fece anche uno strano tentativo di ufficializzare la sua scoperta, registrando i suoi ritrovamenti nell’ufficio di un notaio di Guayaquil, il giorno 21 luglio 1969, ma le sue richieste non furono accolte.
Nel 1972 lo scrittore svedese Erik Von Daniken diffuse nel mondo il ritrovamento del ricercatore ungherese.

Quando la notizia dello strano ritrovamento di Moricz si sparse nel mondo, molti studiosi ed esoteristi decisero di esplorare la caverna con spedizioni private.
Una delle prime e più ardite spedizioni fu quella condotta nel 1976 dal ricercatore scozzese Stanley Hall alla quale partecipò l’astronauta statunitense Neil Armstrong, il primo uomo che mise piede nella Luna, il 21 luglio 1969.

Si narra che l’astronauta riferì che i tre giorni nei quali rimase all’interno della grotta furono ancora più significativi del suo leggendario viaggio sulla Luna.
All’impresa prese parte lo speleologo argentino Julio Goyen Aguado, amico intimo di Juan Moricz, dal quale aveva avuto delle precise indicazioni sull’esatta localizzazione delle placche e lamine d’oro intagliate.
Sembra che Goyen Aguado, su indicazione di Moricz, che non partecipò alla spedizione, abbia depistato Stanley Hall, senza permettere agli anglosassoni di appropriarsi degli antichi reperti d’oro.
Altre versioni della storia indicano invece che gli anglosassoni razziarono parte del tesoro, trasportandolo illegalmente al di fuori dell’Ecuador.
Secondo altri ricercatori il vero scopritore degli immani tesori archeologici della Cueva de los Tayos non fu l’ungherese Moricz, ma bensì il prete salesiano Carlo Crespi.



Per approfondire, fonte e articolo completo: www.fortunadrago.it