giovedì 15 maggio 2014

la fine dei Romanov



estratto da Wikipedia

Fine dei Romanov è un'espressione impiegata da svariati storici per designare l'insieme di omicidi politici compiuti dal nuovo potere sovietico su membri della ex famiglia imperiale. Dalla Rivoluzione d'Ottobre del 1917 ai primi del 1919 furono uccise una ventina di persone d'ambo i sessi, circa un terzo dei membri adulti della famiglia imperiale, a partire dal deposto imperatore Nicola II di Russia con tutta la sua famiglia.

Perm, 12 giugno 1918

La prima azione concreta si ebbe la notte del 12 giugno, quando un gruppo di bolscevichi prelevò ed uccise il granduca Michele, fratello e successore di Nicola II, che si trovava agli arresti domiciliari in un albergo di Perm'. Lui ed il suo segretario, Nicholas Johnson, furono condotti in una foresta lontano dalla città e fucilati. I loro corpi vennero gettati in una fornace di una fabbrica perché non ne restasse traccia.

Dapprima i sovietici annunciarono che il granduca era scomparso, poi che era stato rapito dai bianchi, che era fuggito non si sapeva dove, in modo così da occultare il proprio crimine. In questo periodo da Mosca iniziarono a giungere voci circa l'assassinio dello zar, forse per "saggiare le reazione dell'opinione pubblica russa ed internazionale di fronte all'uccisione di Nicola.": nessuno, né tra i governi, né tra i molti parenti coronati della famiglia imperiale diedero cenno di preoccuparsi di loro.

Ekaterinburg, 17 luglio 1918

Jakov Michajlovič Jurovskij fu incaricato di occuparsi personalmente della preparazione, dell'esecuzione e del successivo occultamento dell'eccidio della famiglia imperiale e delle persone che l'avevano seguita, in totale sarebbero morte 11 persone. Venne nominato comandante della Casa a destinazione speciale, ossia della Casa Ipatiev, ove erano detenuti lo zar deposto Nicola II e tutta la sua famiglia, e nelle loro ultime settimane di vita gestì i ritmi della casa.

I Romanov vivevano sotto stretta sorveglianza e la prolungata convivenza con le guardie rosse era costellata di soprusi e angherie da parte di quest'ultime verso l'ormai impotente famiglia, e specialmente verso le figlie adolescenti dell'ex sovrano Ol'ga, Tatiana, Marija e Anastasia. Sotto il precedente comandante della casa i furti e gli scherzi triviali verso la famiglia erano all'ordine del giorno e i Romanov avevano persino difficoltà a tutelare la salute cagionevole del figlio minore di Nicola II, Aleksej, malato di emofilia, e della ex zarina Aleksandra Fëdorovna, sofferente di sciatica.

Con l'arrivo del commissario Jurovskij il regime della Casa a destinazione speciale cambiò. Le guardie furono disciplinate a non avere contatti con i prigionieri ed i furti cessarono improvvisamente.

Jurovskij si informava giornalmente da Nicola Romanov circa la salute della moglie e del figlio, talvolta accettava di portare qualche richiesta all'esterno, e permise alle suore di un convento vicino di portare latte e uova fresche per i prigionieri. Nel frattempo effettuava tutti i preparativi per l'esecuzione.

Nella seduta del Soviet dove si sarebbero decisi i bersagli dei carnefici, le guardie rosse si rifiutarono di sparare sui figli, e Jurovskij dovette chiamare ex-prigionieri di guerra austro-ungarici che avevano aderito alla rivoluzione a cui spiegò tutto in tedesco; fra di loro si dice fosse presente anche il giovane Imre Nagy, in realtà è appurato che l'Imre Nagy ivi presente era soltanto un omonimo e si deve tenere presente che all'epoca questo nome era parecchio diffuso.

La notte tra il 16 e il 17 luglio, alle 11 di sera, Jurovskij chiamò il suo assistente Medvedev e gli diede le seguenti disposizioni:

Raccogliere 11 revolver dai soldati della casa;
Avvisare il corpo di guardia della casa di non allarmarsi, se avesse udito degli spari.

« Al pianterreno era stata scelta una stanza con un tramezzo di legno stuccato (per evitare rimbalzi), da cui erano stati levati tutti i mobili. La squadra era pronta nella stanza accanto. I Romanov non avevano intuito nulla. »

(Dalla nota di Jurovskij)

A mezzanotte, Jurovskij svegliò i Romanov e ordinò loro di prepararsi per una partenza; spiegò che, in concomitanza dell'arrivo imminente dei bianchi in città era scoppiata una sommossa, e che sarebbe stato più sicuro trasferirli altrove. Mezz'ora più tardi Nicola II, la moglie Aleksandra Fëdorovna, il medico dott. Botkin, l'inserviente Trupp, il cuoco Charitonov, poi i cinque figli, Ol'ga, Tat'jana, Marija, Anastasija, Aleksej, e la dama di compagnia Anna Demidova scesero le scale e Jurovskij li invitò ad entrare nella stanza del pianterreno.

« Nikolaj aveva in braccio Aleksej, gli altri portavano dei cuscinetti e delle piccole cose di vario genere. Entrando nella stanza vuota, Aleksandra Fëdorovna domandò: «Ma come, non c'è neppure una sedia? Non ci si può neppure sedere?» Il com. ordinò di portare due sedie. Nikolaj fece sedere su una sedia Aleksej, mentre sull'altra prese posto Aleksandra Fëdorovna. Ai rimanenti il com. ordinò di disporsi in fila. »

(Jurovskij - che narra in terza persona)

Alludendo alla sua professione di fotografo, il commissario li dispose come per una fotografia di notifica: seduti in prima fila Aleksandra Fëdorovna ed Aleksej, accanto a loro Nicola e alle loro spalle le figlie; sui lati i membri del seguito.

« Con rapidi gesti del braccio Jurovskij indicava a ciascuno dove doveva disporsi. Calmo, a bassa voce:

«Prego, voi mettetevi qua,e voi qua... ecco, così, in fila...» I detenuti si disposero in due file. Nella prima c'era la famiglia dello zar, nella seconda la loro gente. »

(Sterkotin, membro del commando)

Quando tutto fu pronto, Jurovskij chiamò il commando armato; e 10 uomini si ammassarono sulla porta attendendo l'ordine.

« Quando entrò la squadra, il com. disse ai Romanov che in considerazione del fatto che i loro parenti continuavano l'attacco contro la Russia sovietica, il Comitato esecutivo degli Urali aveva deciso di giustiziarli. Nicola voltò le spalle alla squadra, volgendosi verso la famiglia, poi, come tornato in sé, si girò in direzione del com., chiedendo: «Come? Come?» [...] Il com. ripeté in fretta e ordinò alla squadra di puntare. Nicola non disse più nulla, si voltò di nuovo verso la famiglia, agli altri sfuggirono altre esclamazioni sconnesse. Tutto ciò durò alcuni secondi. »

(Jurovskij)

« Detta l'ultima parola Jurovskij, estrasse di colpo il revolver dalla tasca e sparò allo zar. La zarina e la figlia Ol'ga cercarono di farsi il segno della croce, ma non fecero in tempo. »

(Strekotin)

Gli uomini ammassati sulla porta tesero i revolver e bersagliarono sul gruppo: Aleksandra Fëdorovna cadde subito dopo il marito, seguita da Aleksej; dopo di loro si rivolsero alle figlie e al seguito.

« ...si formarono tre file di uomini che sparavano con le pistole. E la seconda e la terza fila sparavano al di sopra delle spalle di quelli che erano davanti. Le braccia con i revolver, protese verso i condannati, erano così tante e così vicine l'una all'altra che quelli che erano davanti ebbero il dorso della mano ustionato dagli spari di quelli che erano dietro. »

(Kabanov, membro del commando)

Nella confusione generale, i pianti e le urla delle ragazze confondevano gli uomini, che non riuscivano a mirare correttamente; le figlie, avendo cucito alcuni gioielli nei vestiti, dovettero subire più colpi prima di cadere e far cessare le urla che disturbavano i carnefici.

« Il mio aiutante dovette consumare un intero caricatore. »

(Jurovskij)

« Le due figlie minori dello zar erano accovacciate per terra contro la parete, con le braccia strette sul capo. Intanto due stavano sparando contro le loro teste. Aleksej era disteso sul pavimento. Qualcuno sparava anche contro di lui. La frel'na [tata, la Demidova] era sul pavimento ancora viva. »

(Kabanov)

I gioielli cuciti negli abiti facevano rimbalzare i proiettili sui corpi delle donne, che ferite e spaventate, non sembravano smettere di dibattersi in preda al dolore e al terrore.

« Allora mi slanciai nel locale dell'esecuzione e urlai di smetterla di sparare e di finire quelli che erano ancora vivi a colpi di baionetta... Uno dei compagni cominciò a spingere nel petto della frel'na la baionetta del suo fucile americano Winchester. La baionetta aveva l'aspetto di un pugnale, ma la punta non era acuminata e non penetrava. Ella si aggrappò con ambo le mani alla baionetta e cominciò ad urlare. Poi la colpirono con i calci dei fucili. »

(Kabanov)

Dopo circa venti minuti, l'esecuzione ebbe termine.

« Il sangue scorreva a rivoli. Quando arrivai io l'erede era ancora vivo e rantolava. Jurovskij gli si accostò e gli sparò due o tre colpi a bruciapelo. L'erede tacque. Quel quadro mi provocò un conato di nausea »

(Medvedev, assistente di Jurovskij)

Tuttavia, al momento di trasportare i corpi all'autocarro, il commando si accorse che non tutti erano morti.

« Quando deposero sulla barella una delle figlie, essa lanciò un urlo e si coprì il volto con una mano. Constatammo che erano vive anche le altre. Ormai non si poteva più sparare, perché le porte erano aperte [...] Ermakov prese il mio fucile con la baionetta innestata e a colpi di baionetta finì tutti coloro che erano ancora vivi. »

(Sterkotin)

I cadaveri vennero caricati su una camionetta, che seguita dal commando di Jurovskij, si addentrò nel bosco di Koptjakij per passare alla fase dell'occultamento. A metà strada l'autocarro si impantanò: il commissario decise quindi di bruciare sul posto due corpi per confondere un'eventuale futura indagine dei bianchi. Nella sua nota egli attesta che bruciò il corpo di Aleksej e di una donna (probabilmente Marija o Anastasija) che identifica con Anna Demidova.

Dopo la prima cremazione e il disincaglio del carro, Jurovskij ed i suoi arrivarono nel luogo prescelto: una cava abbandonata chiamata la radura dei quattro fratelli (per la presenza di quattro ceppi di abeti).

Lì i cadaveri vennero spogliati (e fu allora che gli uomini scoprirono i gioielli nascosti dalla zarina e dalle figlie), e fatti a pezzi con asce e coltelli; gettati nella cava, vennero cosparsi di acido solforico e poi dati alle fiamme.

Il giorno seguente all'esecuzione, Sverdlov interrompe i lavori del comitato centrale di Mosca, e mormora qualcosa a Lenin; quest'ultimo allora dice ad alta voce: «Il compagno Sverdlov ha da fare una dichiarazione». «Devo dire» dice Sverdlov «che abbiamo ricevuto notizie da Ekaterinburg. Per decisione del Soviet regionale, è stato fucilato Nicola II in un tentativo di fuga mentre le truppe cecoslovacche si avvicinavano alla città. Il presidium del comitato esecutivo centrale panrusso approva tale decisione.» Segue un "silenzio generale", fino a quando Lenin non propone di continuare il lavoro interrotto.

Il 20 luglio venne pubblicato a Ekaterinburg il decreto dell'eseguita esecuzione:

« Decreto del Comitato esecutivo del Soviet degli Urali dei deputati operai, contadini e dell'Armata rossa. Avendo notizia che bande cecoslovacche minacciano Ekaterinburg, capitale rossa degli Urali, e considerando che il boia coronato, qualora si desse alla latitanza, potrebbe sottrarsi al giudizio del popolo, il Comitato esecutivo, dando corso alla volontà del popolo, ha decretato di procedere all'esecuzione dell'ex zar Nikolaj Romanov, colpevole di innumerevoli crimini sanguinosi. »

Nonostante il Soviet centrale di Mosca avesse negato in seguito lo sterminio dell'intera famiglia, comunicando la sola fucilazione dello zar in un tentativo di fuga, e nonostante gli sforzi di Jurovskij e dei suoi uomini di occultare nel modo più assoluto ogni traccia dell'esecuzione di massa, i resti nella cava dei quattro fratelli sono stati portati alla luce nel 1979.

Alapaevsk, 18 luglio 1918

La notte tra il 17 e il 18 luglio 1918, nella località di Alapaevsk - Tchinyatcha sono passati per le armi: la granduchessa Elizaveta Fedorovna, sorella della Zarina, il granduca Konstantin Konstantinovič, il granduca Igor Konstantinovič, il granduca Ivan Konstantinovič, il granduca Sergej Michajlovič, suor Varvara Jakovleva ed infine il principe Vladimir Pavlovič Paley.

San Pietroburgo, 28 gennaio 1919

Non ci sono versioni fornite da testimoni oculari sull'esecuzione: ciò che si sa si basa su versioni che provengono da voci ed informazioni di seconda mano: variano sui dettagli, qualcuna ha un'aria eccessivamente drammatica, ma tutte si rassomigliano.

Alle undici e mezza della notte tra il 27 gennaio ed il 28 gennaio 1918, le guardie svegliarono i granduchi Dmitrij Konstantinovič, Nikolaj Michajlovič e Georgij Michajlovič Romanov nelle loro celle nella prigione di Spalernaia, dicendo loro che stavano per essere portati via e quindi dovevano imballare i loro effetti personali. Inizialmente pensarono che stavano per essere portati a Mosca ed il granduca Nikolaj persino credette che poteva darsi li liberassero, ma suo fratello Georgj gli disse che era più probabile li portassero in un altro posto per essere uccisi. I granduchi ebbero un funereo presentimento di quale sarebbe stato il loro destino quando, al momento della partenza, gli fu detto di lasciare i bagagli.

I granduchi furono condotti fuori e caricati in un camion dove già c'erano quattro criminali comuni e sei membri della Guardia Rossa. All'una e venti del 28 gennaio il camion lasciò la prigione e guidò verso il fiume dal lato del Campo di Marte, dove si fermò: mentre il conducente stava provando a rimetterlo in moto, uno dei prigionieri provò a fuggire, ma fu colpito. Il camion riprese il cammino ed arrivò alla Fortezza dei Santi Pietro e Paolo e qui i prigionieri furono fatti scendere approssimativamente nel bastione di Trubetskoy e gli venne detto di togliersi camicie e cappotti, malgrado ci fossero circa venti gradi sottozero: allora non ebbero più dubbi sul loro destino ed i granduchi si abbracciarono per l'ultima volta.

Altri soldati arrivarono portando un'altra persona, che i granduchi infine riconobbero come il loro cugino Pavel Aleksandrovič, fratello di Alessandro III. Furono allora scortati, un soldato per lato, verso una trincea che era stata scavata nel cortile, passando davanti la Cattedrale di San Pietro e Paolo, pantheon della famiglia imperiale. Furono allineati davanti alla fossa, dove già c'erano tredici corpi; Nikolaj Michajlovič passò il proprio gatto, che aveva in mano, ad un soldato chiedendogli di prendersene cura. I granduchi affrontarono la morte con coraggio, Georgij Michajlovič e Dmitrij Konstantinovič pregarono tranquillamente, Dmitrij per il perdono dei suoi assassini: "perdona loro, perché non sanno quello che fanno" sembrano essere state le sue ultime parole. A Pavel, che era molto ammalato, spararono mentre era in barella, mentre gli altri tre furono fucilati assieme, e caddero nella fossa.

I corpi di Pavel, Georgij e Nikolaj rimasero nella fossa all'interno della fortezza, mentre quello di Dmitrij venne di nascosto recuperato il giorno dopo dal suo ex aiutante von Leiming, avvolto in una coperta è stato rotolato e sepolto privatamente nel giardino di una casa di San Pietroburgo, dove riposa ancora oggi.

I presunti superstiti

Per quasi 100 anni (dal 1919 al 2002) ci sono stati numerosi casi di persone che si ritenevano i legittimi figli dello zar Nicola II e della zarina Alessandra. Questi sono alcuni di essi:

Anna Anderson, sosteneva di essere la granduchessa Anastasia Nikolaevna Romanov. Lei ottenne maggior credito.

Marga Boodts, sosteneva di essere la granduchessa Ol'ga Nikolaevna Romanova (1895-1918). Morì sul lago di Como in Italia.

Michelle Anches, sosteneva di essere la granduchessa Tatiana Nikolaevna Romanova. Venne uccisa nella sua casa in Danimarca.

Ceclava Czapska, sosteneva di essere la granduchessa Maria Nikolaevna Romanova.

Eugenia Smith, sosteneva di essere la granduchessa Anastasia Nikolaevna Romanova e scrisse un'autobiografia dove lo rivelava.

Alexei Poutzaiato, sosteneva di essere lo Zarevič Aleksej ma venne smascherato dopo poco tempo.

Maddess Aiort, sosteneva di essere la granduchessa Tatiana; anche lei venne smascherata.

Un uomo rivelò che sua nonna era la granduchessa Maria; la donna era Granny Alina.

Alcune persone specularono in giro che Larissa Tudor era la granduchessa Tatiana.

Una donna di nome Ivanova Vasileva, sostenne di essere la granduchessa Anastasia.

Girò voce che una certa Averees Iacowelly fosse in realtà la granduchessa Maria.

Un certo Oleg Filatov sosteneva che suo padre, Vasily Filatov, fosse lo Zarevič Aleksj.

Heino Tammett sosteneva di essere lo Zarevič Aleksej.

Una donna e un uomo, Magdalen Veres e Joseph Veres, sostenevano di essere la granduchessa Anastasia e lo Zarevič Aleksej.

Incominciò a spargersi la voce che una certa Eleonora Kruger fosse la granduchessa Anastasia.

1 commento:

  1. un racconto davvero sorprendente e molto ben dettagliato grazie di cuore Florio Deghi ( se desidera vorrei avere il piacere di contattarla in privato deghi.f@tiscali.it )

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