sabato 29 marzo 2014

strage di Moncucco

A Milano, la mafia c’è almeno dagli anni 70. Cosche e famiglie lottano per i profitti dei lucrosi traffici di droga, per i proventi del gioco d’azzardo, della prostituzione, dell’usura. Proteggono questa o quella banda, e i gangster locali a loro volta si scannano a vicenda in sanguinose faide. La città registra una media di 150 omicidi l’anno.
Quella sera del 3 novembre 1979 le statistiche stanno per impennarsi bruscamente. Al ristorante “Le streghe”, una piccola trattoria a conduzione familiare, 6 persone discutono tra amari e caffè al termine di una lunga cena. I gestori attendono annoiati che i clienti se ne vadano. Forse, a quel tavolo sta nascendo o si sta ricomponendo l’ennesima banda, pronta a competere con tutte le altre per il controllo della città. Oppure, l’unico vero criminale presente nel locale è il gestore stesso, Antonio Prudente, legato come alcuni avventori a “faccia d’angelo” Francis Turatello, re della ligera e del gioco d’azzardo.
Dal 2 aprile 1977 Turatello è in carcere, per una lunga lista di reati. Fa del suo meglio per cercare di gestire gli affari dal carcere, ma le rigide condizioni di detenzione non gli consentono di mantenere la presa di un tempo. La sua assenza ha causato un vuoto di potere, che il suo luogotenente Angelo Epanimonda sta cercando di colmare. Soprattutto grazie agli “indiani”, una squadra di killer cocainomani che uccide chi non sta al gioco e intimidisce tutti gli altri.
Dietro Epanimonda, catanese di nascita, c’è la mafia, mentre rimane al fianco di Turatello la nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo. Ma questa è solo una semplificazione, perché lo stesso Turatello non ha mai disdegnato i contatti con la mafia siciliana, e nei periodi di transizione le alleanze possono cambiare in fretta.
Strage di via Moncucco Milano, mafia                Nella trattoria di Via Moncucco a Milano entrano in due. Ordinano per quattro. Forse attendono complici. A un certo momento, perché hanno ricevuto un segnale, perché sono stati riconosciuti o forse solo perché si sta facendo tardi, estraggono le pistole e senza una parola ammazzano uno dopo l’altro tutti i presenti. Compresa la cuoca. Compreso il proprietario e la giovane compagna. Compresi tutti i clienti. 8 morti. Meglio di Al Capone.
Seguono le dichiarazioni vibranti di sdegno dei politici e i titoli dei giornali. Poi l’oblio. Perché, al di là del fatto che c’entrano le bande e la droga, è difficile capirci qualcosa. Turatello muore nell’81 in carcere, orribilmente sventrato. Epanimonda, principale sospettato e poi collaboratore di giustizia, ha negato ogni addebito. Incastrato da un’impronta di grasso su una forchetta, viene arrestato Luigi Di Paolo, detto Ginetto, un altro duro della mala milanese. Il boss Gaetano Mirabella, la cui pistola è stata certamente utilizzata nella sparatoria, è stato assolto in Cassazione.
fonte: www.italiacriminale.it

Nessun commento:

Posta un commento