domenica 30 novembre 2014

l'Olocausto dimenticato degli italiani in Crimea

L'Olocausto degli italiani in Crimea
Deportati, fucilati, condannati all’oblio della Storia. Sono gli italiani di Crimea. Terra che la cronaca di questi giorni rende ancora crocevia di guerra. Eppure, lì, in quella regione così remota, una volta si parlava italiano. C’erano attività commerciali, ludiche e comunitarie condotte in maggior parte da pugliesi. E prima di loro, secoli dietro, da veneziani e genovesi. Una popolazione che, negli anni Venti del Novecento, arrivò a essere anche il 2 per cento in alcune città. Percentuali piccole, si potrà dire, ma che vanno contestualizzate al momento storico, alla mobilità di quegli anni, ai collegamenti e alla qualità della vita di quello scorcio a cavallo di due secoli, tra l’Ottocento e il Novecento.
“Spie” o “fascisti”. Queste le accuse per gli italiani che dopo la Rivoluzione d’ottobre e la Marcia su Roma vennero perseguitati con motivazione politica, ma su base etnica. Vicende che da lì a poco si vedranno in Istria e Dalmazia. Espropriazione di beni, obbligo di parlare russo. E poi deportazione in Kazakistan e nella steppa siberiana. Gli italiani che subirono maggiormente le persecuzioni furono quelli di Kerch, o se si vuole, dell’antica Panticapeo, sullo stretto tra il mar Nero e il mare di Azov. Dove la chiesa cattolica venne costruita da italiani nel 1840.
Le persecuzioni presero il via negli anni Trenta. Alcuni riuscirono a ritrovarsi a Trieste. Poi arrivarono i rastrellamenti durante la seconda guerra mondiale, precisamente il 29 gennaio e l’8 febbraio 1942, quindi dopo che i sovietici liberarono il territorio dalle truppe naziste. Un’altra ondata arrivò nel giugno del 1944. Pochissimi sopravvissero alla deportazione in Siberia. E tra loro c’era anche chi aveva creduto nel comunismo. Ma l’accusa era di essere italiani. I bambini moriranno nel viaggio sui treni verso la steppa, per stenti e fame. I loro cadaveri, insieme a quelli di chi era troppo debole per sopravvivere a un viaggio di due mesi in tali condizioni, vennerro abbandonati nelle stazioni in cui transitavano i convogli.
“Durante le purghe e repressioni del periodo 1933-37 molti italiani, accusati di essere spie italiane, furono arrestati, torturati e poi alcuni fucilati, altri mandati nei lager dove morirono quasi tutti”. A scriverlo sono Giulia Giacchetti Boico e Giulio Vignoli, autori di “L’olocausto sconosciuto: lo sterminio degli Italiani di Crimea”, un libro che racconta in maniera particolareggiata i fatti, le storie, le crudeltà di quegli eccidi e che rende almeno giustizia alla memoria.
In oltre mille pagarono la loro italianità e oggi, secondo alcuni dati, sono circa 300, a Kerch, i discendenti di chi scelse di venire qui prima di essere ucciso. Nonostante le persecuzioni, c’è chi addirittura volle tornare, negli anni Cinquanta, in pieno regime, dopo aver ricevuto la “grazia” di Kruscev. Eppure, come si legge nel libro, gli italiani che vi arrivano a metà anni Venti erano lì “in quanto perseguitati dal fascismo” e “troveranno quasi tutti orribile fine per mano dei loro stessi compagni sovietici, con l’accusa di tradimento, di deviazionismo”. Ora, i discendenti vogliono vedersi riconoscere le proprie origini. E lo fanno anche tramite Cerkio, l’Associazione italiana a Kerch.
DANIELE SCOPIGNO
fonte: www.lettera35.it

Nessun commento:

Posta un commento