mercoledì 28 maggio 2014

la grande abbuffata



La grande bouffe è un film franco-italiano del 1973 diretto da Marco Ferreri.

Fu presentato in concorso al 26º Festival di Cannes.

Il film narra di quattro uomini che, stanchi della vita noiosa e inappagante che conducono, decidono di suicidarsi, chiudendosi in una casa nei dintorni di Parigi, e mangiando fino alla morte. Il primo protagonista presentato è Ugo, proprietario del ristorante "Le Biscuit a Soup" e grande chef, deciso a suicidarsi probabilmente anche a causa delle numerose incomprensioni con la moglie.

Successivamente viene presentato Michel, produttore televisivo dalla personalità effeminata, divorziato e stanco della vita monotona che conduce. Il terzo personaggio presentato è Marcello, pilota dell'Alitalia, che, essendo un vero e proprio maniaco sessuale, è distrutto dal fatto di essere diventato impotente. Nella prima scena in cui compare, è intento a fare scaricare dalle hostess dell'aereo delle forme di Parmigiano destinate alla villa in cui dovrà ritrovarsi con gli altri tre. Il quarto ed ultimo protagonista è Philippe, importante magistrato che tuttavia vive ancora insieme alla sua balia d'infanzia Nicole, che è iperprotettiva con lui a tal punto da cercare di impedirgli di avere rapporti con altre donne, arrivando ad adempiere lei stessa ai bisogni sessuali del giudice.

I quattro si recano insieme in macchina alla villa, di proprietà di Philippe, nella quale il vecchio guardiano Ettore ha già predisposto tutto per la grande abbuffata, senza sapere tuttavia che l'intento del suo padrone e dei suoi amici sia quello di uccidersi. Ad aspettare Philippe, inoltre, vi è un esponente dell'ambasciata cinese, che vorrebbe offrire al magistrato un lavoro nella lontana Cina che ovviamente Philippe garbatamente rifiuta con la frase Timeo Danaos et dona ferentes, ("temo i greci anche quando portano doni"), citazione virgiliana.

Una volta rimasti soli, i quattro cominciano la loro abbuffata (in una scena ad esempio Marcello e Ugo fanno a gara per vedere chi mangia più velocemente le ostriche), ma vengono interrotti il giorno dopo dall'arrivo di una scolaresca che vorrebbe visitare il giardino della villa per vedere il famoso "tiglio di Boileau", albero sotto il quale il poeta francese era solito sedersi per cercare l'ispirazione. I quattro accettano volentieri e offrono da mangiare a tutta la scolaresca, e soprattutto conoscono Andrea, la giovane e formosa maestra, che viene anche invitata da loro a cena per quella sera. Infatti, sentendosi soli, i quattro si organizzano per avere un po' di presenza femminile, invitando, oltre ad Andrea, tre prostitute.

Andrea, intuendo quale fosse il loro scopo, decide di aiutarli nel loro intento, stabilendo un tacito accordo e rimanendo con loro fino alla morte di tutti e quattro. Il primo a morire è Marcello che, dopo aver tentato di reagire alla propria impotenza sfogandosi col mangiare, in seguito all'esplosione del wc che lo travolge, esasperato e comprendendo l'inutilità di quella farsa, decide di lasciare la villa nottetempo ed in mezzo ad una bufera, a bordo di una vecchia Bugatti che era custodita nel garage della villa.

Gli amici lo ritrovano il mattino dopo, congelato, al posto di guida, e su consiglio di Philippe (che, da buon giudice, vieta l'occultamento di cadavere) lo sistemano nella cella-frigorifero, ben visibile dalla cucina. Dopo Marcello è la volta di Michel che, vittima di violente crisi meteoriche e stipato di cibo all'inverosimile (non riesce nemmeno più a sollevare le gambe e ad esercitarsi nella danza, suo passatempo preferito), stramazza sul terrazzo. Gli amici lo sistemano nella cella accanto a Marcello.

Poco dopo tocca ad Ugo, che s'ingozza, fino a morirne, di un piatto a base di tre tipi diversi di fegato, a forma di cupola di San Pietro da lui stesso preparato, e puntualmente rifiutato dai compagni ultrasazi. Su consiglio di Andrea, rimane esposto sul tavolo della cucina, "il suo regno". Ultimo ad andarsene è il diabetico Philippe, sulla panchina sotto il tiglio di Boileau e tra le braccia di Andrea, dopo aver mangiato un dolce a forma di seno preparato dalla donna, la quale lo lascia lì e rientra nella villa, il cui giardino è invaso dai cani attratti dalla carne che i fornitori hanno portato e lasciata appesa sulle piante.

Location

Il film fu girato a Parigi presso una villa in Rue Boileau, nel febbraio 1973.

Soggetto

«Basta con i sentimenti, voglio fare un film fisiologico!».

Marco Ferreri a proposito de La grande abbuffata

Il film contiene una feroce critica alla società dei consumi e del benessere, condannata, secondo l'autore, all'autodistruzione inevitabile. I bisogni e gli istinti primordiali, filtrati e normalizzati nel loro raggiungimento, divengono "noiosi" ed abbisognano di continue unicità per essere graditi. Ma la ricerca della difficoltà fine a se stessa comporta l'abbandono dell'utilità e sfocia inevitabilmente nella depressione e nel senso di inutilità. L'unica salvezza è rappresentata dal genere femminile, legato alla vita per missione biologica.

Critica

Il film venne stroncato dalla maggioranza dei critici, platealmente fischiato al Festival di Cannes e pesantemente tagliato dalla censura. Fu inoltre criticata l'abbondante presenza di scene di sesso, oltre che di alcune scene da molti definite volgari, come quelle in cui si manifesta il meteorismo di Michel o quella in cui esplode il WC di uno dei bagni della casa inondando di feci la stanza. Ciò nonostante la pellicola riscosse un successo di pubblico immediato ed enorme. Per la sgradevolezza e la forza eversiva delle tematiche trattate, Cahiers du cinéma inserì il film in una sorta di ideale "trilogia della degradazione" insieme a Ultimo tango a Parigi (1972) e a La maman et la putain (1973).

A seconda delle opinioni il film venne definito di volta in volta: «il film più ideologico di Ferreri» (Adelio Ferrero), «un monumento all'edonismo» (Luis Buñuel), «specchio delle verità come eccesso» (Maurizio Grande). Pier Paolo Pasolini dedicò all'opera un'ampia recensione apparsa sulla rivista Cinema Nuovo, nella quale definì il film: «corpi colti in una sintesi di gesti abitudinari e quotidiani che nel momento in cui li caratterizzano li tolgono per sempre alla nostra comprensione, fissandoli nella ontologicità allucinatoria dell'esistenza corporea».

Non è un caso che il film a posteriori sia stato accostato proprio a Salò o le 120 giornate di Sodoma dello stesso Pasolini; anche se in forma meno cruenta, nella pellicola di Ferreri si riscontrano influenze dell'opera di Donatien Alphonse François de Sade. Come in Pasolini, e nel romanzo sadiano prima di lui, i quattro convitati nella villa parigina incarnano delle figure tipiche metaforiche, in questo caso raffiguranti un potere e tre prodotti dell'ideologia borghese: la giustizia (Phillipe), l'arte e lo spettacolo (Michel), la cucina, il cibo (Ugo), l'amore galante e l'avventura (Marcello). Ed è proprio questo sistema ideologico che viene pesantemente preso di mira dal regista, grottescamente schernito, nel tentativo di eliminarlo, assieme alle scorie vitali, con un vivere ridotto alle funzioni elementari: mangiare, digerire, dormire, bere, copulare, orinare, defecare.

fonte: wikipedia

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